E' un Avellino in altalena. Prima esordisce bene con il Brescia, poi cade male con l'Entella; nuovo punto con il Trapani e poi la doppia caduta contro le prima della classe Cittadella e Verona. Certo, ci può stare, difatti il pareggio di Vicenza e la prima vittoria contro la Pro Vercelli sembravano poter dissipare le nubi e prospettare un roseo futuro per l'Avellino, come avevo anche auspicato sette giorni fa. Ed ecco che quando sembrava potesse cominciare una nuova scia positiva, l'Avellino fa non uno ma ben due passi indietro contro il Perugia giocando malissimo e denotando pochissimo carattere. Troppo incostante per poter sperare in un campionato dignitoso e tranquillo, come può una squadra cambiare volto ad ogni appuntamento, risultando ora promettente, ora brutta e "scarsa"?

E' una squadra che non ha ancora una sua identità, che non ha un gioco ben definito, che dopo otto giornate è in piena zona retrocessione. Certo, il campionato è ancora lungo si dirà, ma lo stesso Jidayi ha fatto capire con le sue dichiarazioni post partita che non è proprio il caso di dormire sugli allori. Perché con queste premesse non si andrà lontano. Inutile dir sempre "ora pensiamo alla prossima", bisogna anche guardarsi dietro e capire cosa non è andato, perché si sta raccogliendo così poco, mai così male nella gestione Taccone. Va bene le assenze, va bene la giovane età complessiva, va bene l'infortunio a metà primo tempo di Ardemagni, ma non si possono sempre cercare alibi. Anche perché al momento dell'uscita di Ardemagni l'Avellino era già sotto 2-0 e non stava sicuramente facendo una bellissima figura. E anche la vittoria contro la Pro Vercelli ricordiamo che è stata di misura, e non si può dire abbia allontanato di un soffio tutti i problemi.

Problemi che questa squadra continua ad avere e a denotare. Bisognerà lottare fino all'ultimo per salvarsi, questo adesso sembra palese, ed è inutile continuare a reclamare la testa di Toscano: il presidente ha dichiarato a chiare lettere che l'allenatore non si tocca, almeno per le prime dieci giornate, per dargli il tempo di lavorare. Scelta che può far discutere o meno, ma è il presidente che decide e non si può biasimare la sua volontà di lasciare al tecnico il tempo di imprimere le proprie idee alla squadra. Idee che, ci si permetta, non si sono viste granché finora, e anche l'ultima vittoria è stata frutto delle invenzioni dei singoli, Verde e Ardemagni, più che di un gioco corale convincente.

Parte della tifoseria annuncia una protesta sabato prossimo contro lo Spezia, e come dargli torto: se il presidente ha il diritto di decidere sul destino dell'allenatore, la curva ha il diritto dal dissentire sul modo di esprimersi della squadra. Ma l'Avellino è un patrimonio di tutti, città in primis, e prima o poi si dovranno comunque fare i conti con il campo e con i risultati, se non si vuol rischiare di correre ai ripari quando ormai sarà troppo tardi.

Sezione: Editoriale / Data: Dom 09 ottobre 2016 alle 18:28
Autore: Domenico Fabbricini / Twitter: @Dfabbricini
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