Un'altra stagione se ne va. In archivio tutto: i se, i ma, le critiche, le gioie, i dolori. E come tutte le altre annate lascia sicuramente qualcosa negli occhi e nel cuore di ognuno di noi che ha combattuto a modo proprio per le sorti del Lupo. E' stata la stagione di chi ha fatto sacrifici macinando chilometri in tutta Italia, portando con sé sempre un vessillo biancoverde in rappresentanza della propria terra e della propria squadra. E' stata la stagione di coloro che hanno sofferto con l'orecchio appiccicato alla radio, di coloro che sobbalzavano dalla sedia quando Ardemagni sbagliava un rigore e di quelli che sui gradoni allo stadio accendevano sigarette per il nervosismo quando le cose andavano male, prendendosi le imprecazioni del vicino che magari odiava il fumo. E' stata la stagione quasi della rassegnazione quando in panchina c'era Toscano, che aveva quasi portato l'Avellino in Lega Pro, ma è stata la stagione, poi, della speranza e dell'esaltazione quando in Irpinia è arrivato un signore sulla sessantina che il calcio lo rende pratico e semplice, ed ha saputo regalare un qualcosa di speciale alla piazza. E' stata, poi, la stagione degli attriti tra i dirigenti, tra le voci che si rincorrevano di una società che poteva essere venduta, ma che alla fine come spesso accade non c'è nulla di vero. E' stata la stagione della giustizia e della paura per una penalizzazione che poteva compromettere il cammino dei nostri ragazzi e che ci ha fatto tremare il cuore. Come dimenticare i derby giocati, le partite sofferte e la striscia positiva di nove gare utili consecutive con un filo di voce che sussurrava addirittura "playoff". Prima, poi, il mercato di gennaio, dove tutti e dico tutti, si innalzavano a direttori sportivi screditando chi compie il proprio lavoro iscrivendo per cinque anni di fila l'Avellino in Serie B. Gli errori li commettono tutti, società, staff, calciatori, tifosi. Tutti. Ma sempre in buona fede, perché a cuore tutte queste persone hanno solamente una cosa, e per di più in comune: il bene e l'amore per l'Avellino. Ma le stagioni travagliate si sa, non concedono calma e sangue freddo, per questo motivo a volte l'istinto prevale e qualche parola di troppo può sfuggire. I risultati alla fine premiano la famiglia biancoverde. Un'unica famiglia, quella di cui i calciatori si innamorano. Perché si sa, che chi viene al Sud piange due volte. Quando arriva e quando parte. E di lacrime ne abbiamo viste abbastanza quest'anno. Per fortuna tutte di gioia e di liberazione. Perché ricordate e ricordiamoci che dietro ogni calciatore, ogni esultanza, ogni punizione sbagliata, c'è sempre e comunque un uomo con le sue debolezze.

Giocare ad Avellino non è facile, servono le palle e alla fine della fiera la formazione di mister Novellino ha dimostrato di avercele, soprattutto perché la rosa era stata costruita non benissimo a causa di un allenatore in stato confusionale. E' servito un miracolo sportivo. Un miracolo sportivo che potrà far riflettere molti ed incentivare qualcun altro a far sì che l'Avellino possa ambire a qualcosa di migliore, perché questa sofferenza ci sta proprio stretta, a noi che abbiamo fame di calcio, che in trasferta siamo sempre i più numerosi e che emaniamo calore anche quando fuori c'è un tempo da lupi. E allora godiamoci questi giorni, perché sono i giorni della salvezza. Camminiamo a testa alta e con gli occhi pieni di gioia, ma prepariamoci perché tra non molto comincerà un altro campionato, una nuova guerra da cui uscirne vincitori, a modo nostro, con l'elmetto e la bandiera sempre ben in vista. Noi siamo l'Avellino, il resto è noia.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 24 maggio 2017 alle 13:04
Autore: Pellegrino Marciano / Twitter: @pellegrinom17
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