"E' la vittoria di tutti", è stato questo il leit-motiv del post partita di ieri. Una frase che può suonare quasi banale, retorica, omologata in quasi tutte le situazioni di trionfo, pronunciata da ogni tesserato per dividere i meriti tra tutti i componenti societari, dal presidente ai calciatori. Ma a ben analizzare il caso dell'Avellino Calcio, questa frase assume un significato ben preciso. In questo caso, è stata davvero la vittoria di tutti. A partire dal patron, l'ingegner Gianandrea De Cesare, accolto inizialmente con toni trionfali da chi non voleva piu' neanche sentire nominare Walter Taccone dopo le vicissitudini della passata estate, per poi essere additato subito come "inesperto" dopo le prime difficoltà in campionato. "Si dia al basket", "Il calcio è un'altra cosa", "Dove sono i 4 milioni di investimento?", "Era meglio Preziosi" alcuni dei commenti piu' gettonati che si leggevano sui social nei momenti piu' difficili della sua gestione, quelli a cavallo di Capodanno. Soprattutto era forte il parallelismo con Preziosi, anch'egli intenzionato a rilevare l'Avellino, e scartato dal sindaco (anch'egli oggetto di critiche piu' o meno feroci per tale scelta), e che nell'immaginario collettivo avrebbe avuto maggiori risorse economiche ed esperienza per riportare in alto l'Avellino. Ma il patron è sempre stato un uomo dei fatti piu' che delle parole, non ama apparire sui media, lavora in silenzio e con sagacia e determinazione, insieme ai suoi collaboratori, ha ricomposto i cocci, rimettendo in sesto una macchina che nel girone di ritorno ha cominciato a viaggiare come una Ferrari, superando ogni record dei suoi predecessori ritrovatisi nella stessa situazione.
E a proposito di suoi collaboratori, subito dopo De Cesare non può che esserci il presidente Claudio Mauriello, nominato in tale ruolo alcune settimane dopo l'insediamento di De Cesare con il ruolo di fare da collante tra la società e le diverse componenti: stampa, tifoseria, squadra. Alzi la mano chi non ha nutrito sospetti sulla figura scelta per un ruolo così importante, in pochi lo conoscevano dieci mesi fa, in molti si chiedevano il perché di tale scelta. Ma anche lui, con il passare del tempo, con i suoi modi educati, decisi e appassionati, ha saputo conquistare tutti. Ci ha sempre messo la faccia, nei momenti felici come in quelli delicati, ha sempre parlato francamente, senza nascondersi, e forse questo gli è valso l'affetto dei tifosi, che in lui hanno visto uno di loro, come lui stesso ha sempre amato ammettere a ogni intervento. Ha dato subito l'impressione di non essere uno che parla giusto per "dare aria alla bocca", come si suol dire, ma ha sempre detto le cose come stanno, con intelligenza e onestà intellettuale. Una figura seria necessaria in una società che vuole dare all'esterno un'immagine di solidità.
E poi c'è il ds, Carlo Musa. Il piu' criticato, il piu' attaccato. Forse per la sua giovane età, forse per la poca esperienza, sicuramente per i risultati balbettanti dei primi mesi è stato individuato come il caprio espiatorio numero uno degli iniziali insuccessi biancoverdi. Alcune scelte sono state sicuramente sbagliate, lo ha ammesso anche lui, dall'allenatore ad alcuni calciatori, ma lui non si è arreso. Nonostante il pesante fardello delle critiche della piazza e dei risultati è sempre rimasto in silenzio, lavorando, cercando di rimediare agli errori e ha contribuito, da gennaio in poi, ad aggiustare il giocattolo, chiamando un tecnico, Bucaro, che ha conquistato undici risultati utili di fila, e calciatori che hanno fatto fare il salto di qualità che mancava alla squadra. Pian piano le critiche nei suoi confronti si sono spente, ma lui non si è preso alcuna rivalsa, con la modestia che lo contraddistingue ha lasciato parlare il campo e ora di gode il frutto del lavoro. Ha un contratto in scadenza a giugno, a chi gli chiede del rinnovo risponde sempre con un "vediamo" di difficile interpretazione. Non sappiamo se abbia già deciso di interrompere la sua avventura in biancoverde dopo aver centrato l'obiettivo, ma voler restare a farsi le ossa in D, o se la società non gli abbia ancora dato garanzie, o ancora lo faccia per scaramanzia. Ma il suo ruolo sarà uno dei primi a dover essere sistemato a breve, con la necessità di approntare il mercato di C.
E' stata anche la vittoria di Bucaro e Cinelli, che hanno accettato con entusiasmo la chiamata dell'Avellino, pur consapevoli della difficoltà dell'impresa. Cinelli, ex capitano biancovede, si è addirittura commosso alla chiamata. Anche loro hanno incassato critiche, ingoiato bocconi amari, ma con il lavoro sodo sul campo piano piano hanno corretto la rotta, e dopo la sconfitta col Cassino, in cui sembrava tutto finito, hanno semplicemente dichiarato "Ora dobbiamo vincerle tutte". Sembrava utopia, fantasia, invece ci sono riusciti davvero (tranne il passo falso con il Latte Dolce che però non cambiò le distanze dal primo posto). E l'Avellino in C ora non può che ripartire da loro.
E poi i calciatori, in primis capitan Morero, l'unico a non arrendersi dopo la mancata iscrizione in B, l'unico a voler seguire l'Avellino anche in D con un solo obiettivo: riportare la squadra, la città, dove merita. Una vera bandiera, a volte bistrattato nella scorsa stagione, ora nel cuore di tutti i tifosi per il suo attaccamento e la sua grinta in campo. Ma tutti meriterebbero una menzione speciale: De Vena con i suoi 20 gol, Tribuzzi con i suoi guizzi, Parisi con il suo carattere pur essendo uno dei piu' giovani, le parate di Viscovo, le giocate di Da Dalt e Gerbaudo, l'esperienza di Sforzini... passando per il preparatore atletico, l'irpino doc Pietro La Porta, il magazziniere, il grande team manager Christian Vecchia, una vita dentro l'Avellino e anche lui reduce dalla passata gestione, l'addetto stampa Giuseppe Matarazzo... non voremmo dimenticare qualcuno, è davvero la vittoria di tutti, e non è retorica.
Ora siamo qui a festeggiare una serie C che, un anno fa, avremmo visto come una sconfitta e vissuto come una delusione, se si fosse trattato di retrocessione sul campo. Ma dopo quello che è successo, dopo le lacrime amare dello scorso agosto, dopo la caduta nell'anonimato, è giusto festeggiare il ritorno tra i professionisti, è giusto festeggiare non un punto di arrivo, attenzione, ma solo il primo passo verso una risalita ben piu' importante. Questa serie C non è, e non deve essere, un punto di arrivo ma un punto di partenza. Si è parzialmente rimediato a un torto che ancora non è andato giu' a nessuno come l'esclusione dalla B, ma questa piazza, questi tifosi, non meritano la C. La loro dimensione è come minimo la B. E forse per questo la vittoria è soprattutto e prima di tutto la loro. Anche a Rieti hanno dato prova del loro affetto, in piu' di 4 mila (ma potevano essere molti molti di piu' potendone avere l'opportunità) hanno invaso la cittadina laziale dando uno spettacolo continuo di cori e di colori, uno spettacolo molto raro per la serie D. Dopotutto siamo stati di passaggio in un campionato che non ci compete, ora si torna a fare sul serio con un calcio di un altro livello. E' sempre serie C certo, ma la presenza di squadre come Bari, Casertana, probabilmente Foggia o Palermo (a seconda di come andranno i ricorsi), Reggina, magari Salernitana (dipende dai playout) lo renderà molto combattuto e molto affascinante.
L'Avellino è tornato, ora si può programmare il futuro con calma e pazienza, senza strafare, per ricostruire dal basso un progetto che poggia le basi, ancora una volta, sulla passione di tanta, tantissima gente. Da oggi la partita di Rieti entra nella storia, come la finale di Pescara contro il Gualdo, come la partita di Crotone, la finale contro il Napoli. La Storia ricomincia.
Autore: Domenico Fabbricini / Twitter: @Dfabbricini
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