E' sempre più vasta la lista di calciatori e allenatori italiano che trovano fortuna all'estero. In questa elenco, pochi lo sanno, figura anche un ex calciatore di Avellino e Torino, Danilo Pileggi, classe 1958, che ha vinto campionato con il Saint George Sa, la squadra più titolata d'Etiopia. Nell'occasione lo ha intervistato La Repubblica, ecco l'intervista:
Pileggi, un anno per ambientarsi e al secondo già vincente
"Si, sono qui da due anni e al secondo abbiamo vinto. In realtà però in questa stagione, sono subentrato a un collega serbo, che la società ha esonerato dopo tre partite. A novembre mi hanno richiamato ed è andata bene".
Che tipo di campionato è quello etiope?
"E' formato da quattordici squadre. Per fare un raffronto con l'Italia lo paragono alla Prima divisione della Lega Pro. Le squadre migliori potrebbero avvicinarsi alla serie B. Non è strutturato come quello sudafricano, o di alcuni paesi del Nord-Africa. Ma abbiamo fatto anche delle partite in Coppa D'Africa senza sfigurare. Sicuramente il Saint George
è la squadra più rappresentativa: in passato ha vinto il titolo anche per 20 anni di seguito".
Qual è il limite principale?
"La preparazione è da migliorare parecchio. Non c'è una cultura professionistica. O meglio i calciatori sono professionisti, perché, di fatto, il calcio è il loro lavoro. Ma dal punto di vista mentale sono più proiettati sull'oggi che sul domani. Si accontentano, invece di puntare a migliorare ancora".
Quanto guadagna un calciatore etiope?
"Se consideriamo un salario medio di circa 100 euro al mese, possono arrivare anche a 1000-2000 al mese. Più di 10 volte uno stipendio normale".
Qual è la stella?
"Se mi chiede un nome direi Said Saladin, è un attaccante centrale di 25 anni, che gioca in Egitto. Secondo me avrebbe le qualità per fare bene anche in Europa".
E la Nazionale?
"Anche la nazionale sta migliorando. Tra poco (il 12 ottobre ndr) c'è il ritorno della partita delle qualificazioni mondiali contro il Sudan (che all'andata ha vinto 5-3 ndr). Certo gli manca quell'attenzione in più".
Si parla di calcio africano e si immaginano strutture e materiali non sempre all'altezza
"Parto dalla mia esperienza. Per quanto riguarda la mia squadra non posso lamentarmi. Noi ad Adis Abeba abbiamo due stadi con campi in erba, uno sintetico. Certo, andando fuori la situazione a volte cambia e soprattutto dal punto di vista di spalti e spogliatoi non mancano strutture carenti. Quanto ai materiali tecnici siamo ben attrezzati: la società ci mette a disposizione quello di cui abbiamo bisogno".
Che visibilità mediatica ha il calcio in Etiopia?
"A parte le pagine sportive dei quotidiani e le notizie riportate dai tg, non ci sono trasmissioni d'approfondimento sportivo vere e proprie sul campionato, che so il classico '90° Minuto'. La nota più interessante è quella delle radio che parlano tutto il giorno di calcio, mi ricordano quelle romane: Nazionale, campionato e calcio straniero sono i temi principali".
C'è spazio anche per il calcio straniero?
"Sì, per la Premier League in particolare. Qui tutti sono tifosi di una squadra: Arsenal e Manchester United sono le più conosciute. Subito dietro ci sono quelle spagnole".
E quello italiano?
"L'interesse in questo caso è un po' fermo, si citano ancora giocatori di 10 anni fa, è legato a un'immagine del passato"
Qual è il ruolo sociale del calcio nel Paese?
"Ha una buona importanza, c'è un gran seguito, è un fattore aggregante. C'è sempre qualche decina di tifosi agli allenamenti. E quando giochiamo almeno 10-15mila persone allo stadio. In occasione dell'ultima partita di campionato siamo arrivati anche a più di 25mila, c'era il tutto esaurito. E' stata una bella festa".
Che rapporti ha con la politica?
"Be' anche in Etiopia il calcio viene utilizzato come veicolo per migliorare le relazioni, talvolta anche quelle politiche. C'è una squadra che rappresenta la Difesa e un'altra sempre legata a un esponente governativo".
E il vostro presidente di che si occupa?
"E' un uomo d'affari di Adis Adeba, con interessi nelle costruzioni e nell'import-export".
La sua esperienza come è stata finora?
"Mi trovo bene. Certo, bisogna affrontarla con lo spirito giusto, anche con un po' di sacrificio. Sicuramente ho incontrato le maggiori difficoltà nella comunicazione di tutti i giorni. Per fortuna ho imparato un po' d'inglese. L'altro aspetto difficile è che sono qui da solo. Ma mi piacerebbe restare: anche il clima mi piace moltissimo a 2400 metri d'altezza".
Dove abita?
"Vivo in un compound, allo Sheraton, che è di proprietà del presidente".
Quanto dura il suo contratto e quanto percepisce d'ingaggio?
"Ho un altro anno di contratto, preferirei non parlare di cifre perché dobbiamo ancora definire alcuni aspetti economici. Sicuramente i rapporti con i dirigenti sono ottimi".
Cosa la gratifica di più?
"L'entusiamo che hanno i tifosi. Le trasferte sono lunghissime, soprattutto per la difficoltà nella viabilità. Eppure ci sono sempre quattro-cinque pullman, anche per viaggi di 600-700 Km, su strade fatiscenti. I tifosi sono molto attaccati: c'è una grande rivalità con un'altra squadra, il Coffee. Ma la polizia è molto rigida e anche nei 'derby' la situazione è sotto controllo".
E' famoso in citta?
"Be' siamo tre tecnici stranieri nel campionato: oltre a me ci sono un bulgaro e un serbo, mi sembra. Quando giro per strada c'è sempre qualcuno che mi chiama 'coach, coach' o dirigenti che vogliono sapere".
Il problema più serio durante una partita?
"Recentemente ci è capitata una disavventura. Qui ci sono diluvi torrenziali, specialmente durante la stagione delle piogge. In una delle ultime partite è iniziato a piovere ed è andata via la luce. Ma a parte il rinvio nessun problema".
Autore: Domenico Fabbricini / Twitter: @Dfabbricini
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