Simone Puleo è stato protagonista di un talk su YSport. L'ex capitano dei lupi ha ricordato i primi anni in Irpinia, compresa la retrocessione dalla Serie B con Zeman allenatore: "Ho fatto le giovanili con il Milan e poi sono andato due anni a Foggia, con il direttore sportivo Peppino Pavone. Nel 2000 ci fu il cambio societario con l'avvento di Pugliese e Aliberti, che puntarono proprio su Pavone e lui mi prese all'Avellino. Il primo anno c'erano Bucaro e Ignoffo titolari, io imparai molto da loro e fu una stagione importante, dove ho gettato le basi per il futuro. Diventai capitano in giovane età nonostante ci fossero in rosa gente come Bucaro, Pisciotta e Ignoffo, a cui mi legai avendo origini siciliane come loro. Quel campionato finì in malo modo con la sconfitta nei playoff con il Catania, ma sono cresciuto tanto. Cosa è successo in quella partita? Qualche dubbio c'è. Io ho giocato all'andata e non al ritorno, Costantino fu sostituito dopo pochi minuti, Fini, De Martis e Sansonetti andarono a Catania con Ammazzalorso. La mano sul fuoco non ce la metto. 

L'Avellino del 2001 con Ammazzalorso è stata la squadra con più qualità in cui ho giocato, c'erano Fini, Costantino, Mascara. Tanti giovani come me, Corallo, Carbone e ottimi elementi esperti come Tudisco, Bucaro, Pisciotta, gente che conosceva benissimo quel campionato. E' stato l'Avellino più completo. Il nostro rammarico è aver vinto solo 1-0 contro il Catania all'andata dei playoff. Ci accontentammo, ma li massacrammo. Però ricordo che contro Taranto e Foggia, pur perdendo 1-0, ci guardammo in faccia e ci dicemmo: va bene così. Un'altra squadra si sarebbe gettata in attacco, ma noi sapevamo che in casa le avremmo vinte tutte. 

Ogni promozione ha un suo fascino, la prima nel 2003 è sempre la più bella, ma vincere contro il Napoli, una corazzata, mi ha dato emozioni incredibili. Lo stesso vale per il 2007 con il gol incredibile di Rivaldo. Tre sapori diversi, ma tre emozioni stupende. Il mio ricordo più bello è legato al pre-partita di Crotone-Avellino. L'emozione più bella non l'ho avuta tanto per la vittoria del campionato, ma nel vedere 10mila tifosi dell'Avellino nello stadio del Crotone. Quando sono entrato in campo mi sono messo a piangere come un bambino: un popolo si era trasferito per seguirci e incitarci. In quelle annate abbiamo avuto squadre che hanno risparmiato il carattere degli irpini, combattive, che non mancavano mai. Non avevamo qualità eccelse, ma avevamo calciatori con un grande senso di appartenenza. Giravamo per strada in gruppo, andavamo a pranzo tutti insieme. E' stata questa la forza del gruppo. Ma anche le retrocessioni mi hanno aiutato a crescere. 

La retrocessione con Zeman, nel 2004, si è fatto un errore di valutazione. Nei tre anni precedenti si era creato un gruppo, una forza interiore, collegata alla tifoseria. In casa c'erano tantissime persone, tanti paganti per una partita come Avellino-Vis Pesaro giocata il 25 aprile del 2001. Puntarono su Zeman e su ottimi calciatori, che poi hanno giocato in Serie A, ma dovevano ancora crescere. Io ero capitano a 21 anni e mi ritrovavo accanto, in difesa, un compagno ancora più giovane di me. Quell'anno c'era il campionato con 24 squadre, con Messina, Napoli, Verona, Palermo, Torino e altre ancora. Si è pagato l'azzardo sulla linea verde, ci vuole sempre il giusto mix con i più anziani. In alcune partite ci danneggiarono gli arbitri.

Zeman è un allenatore che sul piano atletico ti fa sgobbare, non ci concedeva niente. Ci portò in ritiro a San Giorgio di Brunico, c'erano solo il campo e l'albergo. E tra questi c'era un bar. Lui a fine allenamento prendeva la bicicletta e con Cangelosi si andava a prendere una birra, così che noi non potessimo andarci. Fuori le stanze dell'albergo faceva la sentinella. La squadra correva, giocava pure, ma ci mancò l'esperienza. Di quella stagione salvo poche partite, il derby contro la Salernitana, il 6-0 contro il Verona, la gara dominata contro il Torino dove subimmo un furto, distruggemmo il Genoa di Milito. Il capitano del Genoa era Cavallo, noi eravamo in dieci per l'espulsione di Cecere e lui mi disse: ma non vi fermate mai di correre. A Firenze passammo in vantaggio e il pubblico allo stadio ci applaudì. Stesso discorso a Palermo. Eravamo però troppo altalenanti, capaci di vincere partite in goleada e prendere tre gol in 15 minuti.

Col Napoli ho capito che non avremmo perso al San Paolo, quando eravamo nel sottopassaggio. Loro ci guardavano impauriti, io avevo compagni con gli attributi. Nel 2007 la società decise di disfarsi di noi dopo aver vinto un campionato. Ci tolsero la possibilità di confrontarci in Serie B, dopo aver preso gli sputi a Taranto nel sottopassaggio. Ma era il modus operandi di quella società.

Ho pianto per non andare al Crotone. Colomba mi fece capire che in quella squadra non c'era spazio per me. Essere capitano dell'Avellino ha oneri e onori, ho preso critiche perché subivamo gol, anche quando non era colpa mia. Arrivato a un certo punto mi è sembrato giusto cambiare squadra, sono andato al Crotone allenato da Gasperini, che mi fece giocare tutte le partite. E lì mi sono ripreso. L'allenatore a cui sono più legato? Il primo Vullo, poi quando è tornato ero più adulto. Decise di far giocare me nel 2002, nonostante fosse tornato Bucaro. Ma anche Gasperini, anche se solo per sei mesi, mi ha dato tanto. Ho avuto due ex compagni di squadra come allenatore, Marra e Bucaro. Li chiamavo per nome, capisco che per un tecnico allenare un ex compagno possa essere una situazione al limite".

Sezione: Focus / Data: Mar 28 aprile 2020 alle 19:45
Autore: redazione TuttoAvellino / Twitter: @tuttoavellinoit
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