Stavolta neanche il risultato pieno avrebbe potuto evitare il commento purtroppo duro su una squadra priva, con riscontro seriale, di una identità di gioco a punto tale da far passare in secondo piano le topiche che oggi hanno permesso al Foggia di fare 2-2 senza neanche avere la necessità di consumare l'assedio finale.
Ad Avellino, a meno di graditissimi supporti from Montevergine, è finito, forse irrimediabilmente, il tempo del sogno al primo posto. E pure quello degli alibi, smontati uno a uno dalla povertà sistemica e caratteriale di una squadra che non poteva e non può immaginare di campare di rendita sulle fiammate dei singoli quando Tito, quando Kanouté, oggi Maniero.
Questo Avellino è un cantiere aperto da tempo, ma nessuno ha ancora capito quale sia il progetto. Con un allenatore esonerato in diretta tv e poi rimesso in sella, la proprietà ha deciso di attendere dicembre per prendere una decisione su guida e direzione sportiva. Dicembre è arrivato, il Bari manco lo si intravede più e i passi in avanti sono tracciabili solo con le analisi di laboratorio. Ora cosa si fa?
Le mancanze dell'Avellino sono peccato originale e amaro pane quotidiano. C'è un mercato fatto di confusione e acquisti inutilizzati nella migliore delle ipotesi, dannosi nella peggiore dispiace per Mignanelli, ma il paragone nelle prestazioni con Tito genera imbarazzo, a tratti rassegnazione. La società intende manifestare ancora fiducia al direttore sportivo? In un verso o nell'altro dia garanzie a se stessa, innanzitutto ora, perseguendo il progetto, qualunque sia, sul campo e non al microfono.
E poi, l'allenatore. Senza rimestare gli errori, purtroppo in serie, del recente passato, gli andrebbero poste un paio di domande, senza assistere alla solita filastrocca pre e post gara a prova di usura. Kanouté spalle alla porta contro una squadra come il Foggia è un no-sense difficile da spiegare. Il primo gol nasce da lì e non è pura casistica. Ancora: vige, a nostra insaputa, qualche divieto che impedisca di giocare, anche a tratti, con le due punte per cercare internamente al campo soluzioni che non troviamo sulle fasce? O semplicemente per gestire meglio nei finali, come oggi, qualche palla lontana dalla nostra porta? Plescia e Gagliano, pescati da Di Somma e la lista degli inutilizzati è profonda, sono il manifesto delle incomprensioni in seno all'area tecnica e dell'ormai appurata ma quanto giustificabile? inibizione dell'allenatore a trovare una variante che sia una allo schema e all'idea di base. Che peraltro è sempre confusa.
Restano l'amaro in bocca e i punti di domanda, che vanno ben oltre il sorriso che può strappare l'improvvida dichiarazione di qualche giocatore al suo primo sussulto stagionale. L'Avellino decida cosa vuole fare, se continuare così o cambiare. Perché investire a gennaio con l'attuale confusione sarebbe solo uno sperpero di denaro. D'Agostino decida, Di Somma s'interroghi. E con lui Braglia, un grande passato in serie C, qualche passaggio a vuoto in epoca recente. Un allenatore che ha vinto non per forza è un vincente. Quello deve dimostrarlo di anno in anno.
Ad Avellino, a meno di graditissimi supporti from Montevergine, è finito, forse irrimediabilmente, il tempo del sogno al primo posto. E pure quello degli alibi, smontati uno a uno dalla povertà sistemica e caratteriale di una squadra che non poteva e non può immaginare di campare di rendita sulle fiammate dei singoli quando Tito, quando Kanouté, oggi Maniero.
Questo Avellino è un cantiere aperto da tempo, ma nessuno ha ancora capito quale sia il progetto. Con un allenatore esonerato in diretta tv e poi rimesso in sella, la proprietà ha deciso di attendere dicembre per prendere una decisione su guida e direzione sportiva. Dicembre è arrivato, il Bari manco lo si intravede più e i passi in avanti sono tracciabili solo con le analisi di laboratorio. Ora cosa si fa?
Le mancanze dell'Avellino sono peccato originale e amaro pane quotidiano. C'è un mercato fatto di confusione e acquisti inutilizzati nella migliore delle ipotesi, dannosi nella peggiore dispiace per Mignanelli, ma il paragone nelle prestazioni con Tito genera imbarazzo, a tratti rassegnazione. La società intende manifestare ancora fiducia al direttore sportivo? In un verso o nell'altro dia garanzie a se stessa, innanzitutto ora, perseguendo il progetto, qualunque sia, sul campo e non al microfono.
E poi, l'allenatore. Senza rimestare gli errori, purtroppo in serie, del recente passato, gli andrebbero poste un paio di domande, senza assistere alla solita filastrocca pre e post gara a prova di usura. Kanouté spalle alla porta contro una squadra come il Foggia è un no-sense difficile da spiegare. Il primo gol nasce da lì e non è pura casistica. Ancora: vige, a nostra insaputa, qualche divieto che impedisca di giocare, anche a tratti, con le due punte per cercare internamente al campo soluzioni che non troviamo sulle fasce? O semplicemente per gestire meglio nei finali, come oggi, qualche palla lontana dalla nostra porta? Plescia e Gagliano, pescati da Di Somma e la lista degli inutilizzati è profonda, sono il manifesto delle incomprensioni in seno all'area tecnica e dell'ormai appurata ma quanto giustificabile? inibizione dell'allenatore a trovare una variante che sia una allo schema e all'idea di base. Che peraltro è sempre confusa.
Restano l'amaro in bocca e i punti di domanda, che vanno ben oltre il sorriso che può strappare l'improvvida dichiarazione di qualche giocatore al suo primo sussulto stagionale. L'Avellino decida cosa vuole fare, se continuare così o cambiare. Perché investire a gennaio con l'attuale confusione sarebbe solo uno sperpero di denaro. D'Agostino decida, Di Somma s'interroghi. E con lui Braglia, un grande passato in serie C, qualche passaggio a vuoto in epoca recente. Un allenatore che ha vinto non per forza è un vincente. Quello deve dimostrarlo di anno in anno.
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