Quando pensi che si sia toccato il fondo, ecco che devi ricrederti, perché al peggio non c'è mai fine. L'Avellino a Viterbo riesce a fare anche peggio delle precedenti trasferte, quando aveva perso sì ma di misura, tranne che a Crotone, facendo fare alla Viterbese, compagine che fino ad oggi aveva meno punti dell'Avellino e in casa non aveva mai vinto, la figura dello squadrone. Perché tolti i primi venti minuti, in cui si è visto anche un Avellino intraprendente e pimpante, che ha colpito una traversa con Dall'Oglio, poi è stato buio pesto. Con la Viterbese che ha passeggiato sui resti di un Avellino a pezzi, e che nel finale ha rischiato anche di dilagare, con l'Avellino tutto in avanti posizionato malissimo in campo. Il punto più basso della storia recente dell'Avellino, e come si diceva all'inizio al peggio sembra non esserci mai fine.
Certo non potevamo attenderci un miracolo a poche ore dall'esonero dell'allenatore, né una sterzata tattica perché Biancolino, messo in panchina solo per riempire un vuoto momentaneo, non ha potuto neanche provare a dare un'identità a questa squadra in mezza giornata di allenamento, ma almeno una reazione di orgoglio ce la saremmo aspettata. Perché quando va via un allenatore, i calciatori devono sentirsi almeno in parte co-partecipi del fallimento; perché non hanno più alibi, in campo oggi erano soli non essendoci l'allenatore in panchina; per dimostrare a sé stessi e all'ambiente di poter essere ancora in grado di dare qualcosa, e magari finora erano sbagliati soltanto le direttive dell'allenatore. Generalmente un cambio di allenatore provoca sempre una reazione nei calciatori, anche se ancora non c'è il nuovo tecnico, ma quantomeno a livello di motivazioni si cerca di dare qualcosa in più anche per dimostrare a chi verrà di poter essere utile alla causa.
Invece si è visto uno spettacolo anche peggiore di quello visto finora, con l'Avellino che ha dimostrato ancora una volta di sciogliersi come neve al sole alla prima difficoltà lontano dal Partenio, per la quinta volta è passato in svantaggio e per la quinta volta non solo non ha saputo reagire, ma è colata a picco. Problema acuito ulteriormente dal secondo gol, arrivato nel momento in cui l'Avellino stava esercitando una sorta di forcing, se così vogliamo chiamarlo, che ha tagliato letteralmente el gambe ai calciatori che hanno rischiato di prenderne anche altri. Alla luce di quanto visto oggi in campo, il problema non era solo l'allenatore, i problemi ci sono e sono tanti. A partire dall'attacco: non conta il numero di attaccanti che metti in campo diceva Taurino, è vero perché l'Avellino, lo ripetiamo, ha in rosa tre attaccanti centrali (Trotta, Murano e Gambale) e ben sei esterni (Ceccarelli, Russo, Guadagni, Micovschi, Di Gaudio e Kanoute) ma finora hanno siglato solo tre delle sei reti a referto in 9 gare: 2 Russo e 1 Trotta (su rigore). Le altre reti portano la firma di due centrocampisti: Casarini (2) e Dall'Oglio. Nove giocatori offensivi che segnano 3 gol in 9 partite sono un segnale gravissimo, e non è neanche una questione di modulo.
Biancolino, che alla vigilia sembrava volesse dare continuità al lavoro di Taurino, ha provato il tutto per tutto schierando un modulo diverso nella speranza di vedere qualcosa di nuovo e non riproporre un Taurino-bis: via al 3-5-2, alle due punte tanto acclamate. Risultato, encefalogramma piatto. Si è visto il solito Avellino, con le solite incapacità offensive, capace di effettuare un solo tiro verso la porta nel primo tempo, con la traversa colpita con un tiro-cross da Dall'Oglio, e nulla più. Non che nella ripresa sia andata meglio, sempre Dall'Oglio ha rischiato di pareggiare di testa tutto solo in area, ma ha colpito debolmente, ma non è da lui che si attendono i gol. Trotta comincia purtroppo a denotare tutti i propri limiti, un calciatore generoso che ci mette anche l'impegno ma in zona gol è praticamente impalpabile. Murano è tornato quello solito che purtroppo abbiamo imparato a conoscere. Biancolino ha provato il tutto per tutto nel secondo tempo schierando anche Russo e Ceccarelli sugli esterni, in un 4-4-2 che in fase offensiva era praticamente un 4-2-4, ma come si diceva il numero di attaccanti in campo non è sinonimo di più gol, e l'Avellino è rimasto arruffone, inconcludente, senza un'identità. Gambale entrato dopo non ha apportato praticamente nulla di più.
Ma i limiti non sono solo in attacco, seppur abbia il secondo peggior reparto offensivo dopo Foggia e Messina (5 gol segnati). I problemi sono anche in difesa: ancora una volta un errore di valutazione della coppia centrale, Aya-Illanes ha portato alla prima marcatura di Volpicelli. Difesa praticamente allo sbando sul secondo gol, quando con la squadra tutta in avanti Polidori ha potuto battere due volte a rete, contrastato dal solo Aya sulla prima conclusione, che per poco non metteva in difficoltà il suo stesso portiere, per poi infilare Marcone sotto il corpo. Un gol goffo come tutto l'Avellino visto in campo oggi.
Una reazione d'orgoglio a Viterbo sarebbe dovuta servire in primis ai calciatori per riguadagnare fiducia e dimostrare a sé stessi di poter dare di più, e al prossimo allenatore di lavorare con un morale più alto di quello che c'era fino a questo momento. Invece l'Avellino, al di là dell'allenatore, è una squadra molle, fragile mentalmente, senza grinta e senza carattere. Più che un allenatore servirà un'opera di restauro completa, la squadra va ricostruita completamente e non parliamo solo di uomini, perché tecnicamente alcuni calciatori in rosa non hanno niente in meno a quelli di Viterbese, Monopoli, Cerignola, giusto per citarne alcune, ma va ricostruita nella testa, nel morale, nelle motivazioni. E poi anche tatticamente chiaro, perché se un attacco composto da nove elementi offensivi segna 6 gol in 9 partite vuol dire che il modo in cui tutta la squadra partecipa alla fase offensiva, che viene solo finalizzata dagli attaccanti, è stata fin qui sbagliata.
Da domani ci si concentrerà solo sulla scelta del nuovo allenatore, ma dopo lo spettacolo visto in campo stasera chi allenerà l'Avellino dovrà prendere parte a una vera e propria sfida personale, una missione quasi disperata: trasformare radicalmente un carciofo, in una rosa. In quanti saranno disposti a rischiare così tanto?
Autore: Domenico Fabbricini / Twitter: @Dfabbricini
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