In casi simili essere autoreferenziali significa amare, perché anche facendo riferimento a se stessi si diffonde amore, lo si offre agli altri, ai lettori di questo libro si intende. Ma amore per cosa o meglio per chi? Per un lupo. Ma di uno in particolare, proveniente dalle terre irpine e che la storia ha voluto che assurgesse a simbolo di maglie tinte di biancoverde che avrebbero indossato uomini per tenere alto l’onore del calcio avellinese. E quel lupo ha fatto innamorare anche un bambino di nome Felice D’Aliasi, che, crescendo, avrebbe iniziato anche a capire di calcio e a fare l’opinionista in televisione. Quel bambino, diventato poi un esperto del settore, ha voluto raccontare tutto il suo amore per l’Avellino ad un giornalista a cui è legato anche da un grande rapporto d’amicizia: Rino Scioscia. Anch’egli rigorosamente di fede irpina e che fa della penna lo strumento da cui far scaturire le parole più appropriate per descrivere una vera e propria storia d’amore.
Si inizia rimembrando quella squadra che, con Antonio Sibilia presidente, rincorreva la promozione in serie B. Che si concretizzò in un anno in cui il progetto era veramente serissimo e quella squadra quotata e accreditata per la categoria, diede vita ad un cammino esaltante e per approdare tra i cadetti disarcionò il Lecce. Una volata in cui prevalsero i biancoverdi e che Felice D’Aliasi racconta a Rino Scioscia, che fa sapientemente affiorare le emozioni di una terra bramosa di successo. Ma non ci si accontentava di restare in cadetteria, il sogno era la massima serie. Anche se non era facile issarsi al vertici in campionati così competitivi, così i tifosi si rassegnarono quasi quando nella stagione ‘77/’78 molti inizialmente ritennero deludente la campagna acquisti non convinti circa la bontà delle operazioni di mercato. E nella prima partita dei quella stagione, le perplessità si acuirono quando l’Ascoli mise a ferro e fuoco gli irpini senza, però, riuscire a trovare il guizzo per imporsi. A fine campionato ci fu un dettaglio: l’Ascoli stracciò il campionato e l’Avellino, con Arcangelo Iapicca presidente, lo accompagnò nel viaggio più entusiasmante. Viaggio che culminò al Marassi di Genova quando una rete di Mario Piga regalò ai biancoverdi la storica promozione in serie A. Quello stadio di Genova che sarebbe stato per anni alla mercé dei blitz corsari della truppa proveniente dall’Irpinia. E sì perché, al debutto nel palcoscenico della massima serie, a dare il benvenuto all’Avellino tra le superpotenze del calcio italiano il destino scelse la Scala del calcio, e contro quel Milan che la spuntò di misura solo nel finale, vagiva una matricola che avrebbe imposto contro molti la sua legge. La famosa “Legge del Partenio” al cospetto della quale anche molte candidate allo scudetto si piegarono. Tra cui il Verona che, nell’anno del fantastico tricolore conquistato sorprendendo l’intero Stivale, dovette piegarsi ai biancoverdi. Imprese che sono rimaste incise nella mente di chi ama l’Avellino. Così tra salvezze sofferte e qualche gratificazione, al decimo anni tra le 16 big d’Italia, ci fu una grande affermazione da parte dell’Avellino. Non ci si accontentò di non essere fagocitati in basso, ma si provò ad osare, a fare incursioni tra le grandi, per vedere se la squadra sarebbe stata all’altezza di mettersi in discussione. Così l’8° posto finale, ammantò di entusiasmo una piazza su cui sarebbe piovuta, solo un anno dopo, una doccia gelata. Quelle celebrazioni si trasformarono in processi, perché dopo aver sfiorato l’Europa ci si ritrovava in B. Da lì iniziò per l’Avellino un lento declino, una consunzione, con una squadra senza vigore "perinde ac cadaver". E non mancò il fragoroso tonfo in serie C. Ma propria da questa categoria partì la riscossa dagli anni 2000 che portò, almeno per brevi parentesi, gli irpini alla ribalta. Quando la squadra dei Molino e dei Biancolino tornò in cadetteria vincendo il campionato e incenerendo la concorrenza del Pescara. Per poi ricordare un’altra storica promozione tra i cadetti, quella conquistata ai danni del primo Napoli di De Laurentiis. Quella squadra di Moretti, Puleo, Cinelli, Biancolino e Rastelli seppe infliggere una profonda amarezza agli azzurri frenando un progetto che poi avrebbe tracimato successi. Ma tra alti e bassi tra B e C, l’orgoglio non è mai venuto meno e proprio quello si paventava di non vederlo più in campo quando è stata dichiarata fallita la società. Rinata poi tra i dilettanti e che ora si ritrova in quella serie C nel frattempo denominata Lega Pro-Prima Divisione e che ora si propone di implementare un organico in grado di puntare al ritorno in serie B. Tutto ciò si può leggere in questo appassionante libro, arricchito dalla prefazione di Peppe Iannicelli e nobilitato, nei titoli di coda, dalle dichiarazioni delle vecchie glorie carpite da Michele Pisani.
Cosa aggiungere? Niente! Dico soltanto che, se anche un napoletano come me è stato coinvolto dal fascino della storia dell’Avellino, tra glorie, slanci e vicissitudini, non oso immaginare cosa proverà, nel leggere queste pagine di Storia calcistica, se non di Leggenda, chi vive di questi colori. Buona avventura in questo viaggio travolgente…
Maurizio Longhi
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