Sto mangiando in quantità (spropositate) adeguate al periodo e alla nostra tradizione culinaria natalizia, eppure oggi sono rimasto a bocca aperta per ben tre volte al Partenio. Non per mangiare, non per la vittoria. Ho avuto un sussulto, in rigoroso ordine, nel vedere il solito, brutto Avellino terzo in classifica in virtù della diffusa mediocrità tecnica di stanza in Lega Pro; nell'apprezzare le uscite di Forte: uno pronto a buttarsi anche in mezzo ai vietcong se si tratta di prendere qualcosa di sferico nella sua giurisdizione; nel dover ammettere che oggi ci tocca invidiare anche Berardi, quello della Vibonese, non quello del Sassuolo. Un giocatore di qualità che a noi manca come il pane, a volte pure come l'acqua al secondo giorno di insolazione.
I conti, comunque, in fin dei conti tornano. Siamo terzi in folta compagnia, in piena sintonia con gli obiettivi stagionali, ma anche con una domanda che merita una risposta da fornire, innanzitutto, alla dirigenza. D'Agostino non si è tirato indietro nel sottoscrivere (anche) ricchi contratti: si aspettava dopo un girone questo tipo di squadra? Questa organizzazione? Questo distacco dalle prime due? Questa identità (se ce l'abbiamo)? Servivano investimenti così pesanti? In una qualsiasi società, non solo sportiva, a metà del guado vanno tirate le somme. E tirate pure le orecchie, per il bene comune. Ricordando a tutti che a Bari non si doveva dare di più per questioni di rivalità calcistica, ma perché questo è l'Avellino: che si giochi al San Nicola o nel borgo sotto casa con la pista di pattinaggio affianco.
L'Avellino di oggi ha l'alibi dei danni provocati dal cluster covid, ma anche una serie di lacerazioni che si sono ingigantite nel tempo e sono ora dolorose alla tastazione dopo essere già apparse preoccupanti ai nastri di partenza. Attacco folto, ma mai innescato e acceso. Centrocampo corto e con pochissimi piedi buoni. Bastano due assenze simultanee (Aloi e De Francesco) per costringere un terzino a fare l'interno (Rizzo) e Bruzzo a vagare senza meta per il campo, cercando gli inserimenti tanto cari a D'Angelo, costretto a sua volta a fare il play che non è.
E' una coperta corta che, se D'Agostino vorrà (nessuno è padrone col portafogli degli altri), andrà allungata con ricami di valore per affrontare un play off da protagonista e, nella peggiore delle ipotesi, mantecare la base della prossima stagione. Due interpreti già pronti per farci cambiare musica: un costruttore vero e un interditore che sia il famoso 'titolare da tenere in panchina'.
E, poi, la difesa. Oggi quasi sempre attenta, e ci mancava dopo le ferie senza preavviso di Bari. Un centrale di stazza, capace anche di uscire palla al piede, sarebbe un toccasana per una squadra che non conosce fraseggio da dietro e fa puntualmente fatica anche a organizzare un contropiede. Una squadra terza in classifica, e ce lo godiamo, ma appaiata a chi ha speso tanto in meno costruendo pure più tardi (mi viene in mente il Foggia, a bruciapelo).
Non esco dal Partenio sereno per quanto ho visto (tutt'altro), ma contento per il risultato. Forse anche per quel paracadute che è il prossimo mercato: la larga insufficienza tecnica di questo girone può permettere di salire di giri senza fare follie, investendo il giusto e sui tasselli necessari. Cum grano salis. Pure perché qua basta un acino giusto per insaporire la minestra e farci restare a bocca aperta e con la pancia piena.
Daniele Miceli
Autore: redazione TuttoAvellino / Twitter: @tuttoavellinoit
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